Per condividere cose che a me sono parse belle. :-). Argomento Principe, l'Amore, in tutte le sue mille sfaccettature, forme e modi di manifestarsi. "BLOG DI SOLA LETTURA, CHE NULLA HA A CHE VEDERE CON OMONIMIE ALTROVE." Le fotografie - dove non diversamente indicato - sono mie.

venerdì 1 gennaio 2021

Ricordo di una mattina di Natale - Leo Buscaglia, Sette storie natalizie

 


Non lo credevo. Gli angeli avevano ben altro da fare che badare se fossi stato un bambino buono o cattivo. Il limitato buonsenso dei miei sette anni mi aveva suggerito che gli angeli potessero sorvegliare due o tre bambini per volta...e perché mai sarei dovuto essere proprio io uno di loro? Le probabilità erano indubbiamente a mio favore. Ma la mamma sapeva tutto, e mi aveva detto e ripetuto che l'Angelo del Natale sapeva, vedeva e giudicava ogni cosa, che non si poteva paragonarlo a nulla di ciò che noi, ignoranti creature umane, eravamo in grado di capire. Sta di fatto, comunque, che io nutrivo qualche dubbio sull'Angelo del Natale.

Tutti gli amici del vicinato mi dicevano che era Santa Claus a venire, la vigilia di Natale, e che non avevamo mai sentito nominare un angelo che portasse i doni. La mamma viveva ormai in America da molti anni, e benediva la nuova patria riconoscendo in essa la sua casa perpetua, ma rimase per sempre italiana come la polenta. E per lei sarebbe sempre stato un angelo.
"Ma chi è questo Santa Claus?" diceva. "E cosa c'entra col Natale?"
Devo poi riconoscere che il nostro angelo italiano non mi faceva molta impressione. Santa Claus era sempre più generoso e aveva più fantasia. Ai miei amici portava biciclette, giocattoli, di stagno, puzzles, caramelle e guanti da baseball.
Invece gli Angeli italiani recavano immancabilmente mele, arance, uva passa, frutta secca assortita, un piccolo panettone e certe pasticche alla liquirizia che chiamavamo "bottoni da prete" perché somigliavano ai bottoni dell'abito talare. Inoltre, l'Angelo infilava sempre nella calza certe castagne d'importazione, dure come sassi. Ci arrendevamo, alla fine, e le davamo alla mamma perché le lessasse, dopo che venivano sbucciate e servite come dessert alla cena di Natale. Non sembrava davvero il regalo più adatto a un bambino di sei o sette anni. Spesso ero indotto a pensare che l'Angelo del Natale non fosse un tipo molto sveglio.
Quando interpellai la mamma in argomento, lei si limitò a rispondere che non spettava a me, "ancora con il latte sulle labbra", mettere in discussione gli angeli, e soprattutto l'Angelo del Natale.
Al tempo di quel Natale, non si può dire che il mio contegno di bambino di sette anni fosse dei più esemplari. A quanto pareva, mio fratello e le mie sorelle, tutti maggiori di me, non creavano mai problemi. Pareva invece che io fossi sempre al centro dei medesimi. A tavola, non c'era cibo che fosse di mio gradimento. Mi s'imponeva di mangiare un po' di tutto e ogni pasto diventò una sfida... Felice, come venivo chiamato in famiglia, contro il mondo degli adulti, Ero io che dimenticavo di chiudere la stia dei polli, che preferivo leggere anziché portare in strada le immondizie, e che soprattutto contestavo le azioni, i sentimenti, le disposizioni di papà e mamma. In una parola, ero un ragazzaccio.
Fu così che, un mese prima di Natale, la mamma mi ammonì: "Sei proprio un discolo, Felice. Gli angeli del Natale non portano doni ai monelli, Portano loro un ramo tagliato da un albero di pesco, che va benissimo per prenderli a bacchettate sulle gambe. Quindi," mi mise in guardia, "sarà bene che tu metta giudizio. Non spetta a me essere buona con te. Tu devi scegliere di essere buono".
"E chi se ne infischia?" fu la mia risposta.
"Tanto l'Angelo non mi porta mai quello che vorrei."
Feci ben poco, nelle settimane successive, per "migliorare la mia condotta".
Come avviene in quasi tutte le famiglie, la vigilia di Natale era un momento magico. Sebbene fossimo poveri, c'era sempre qualcosa di speciale da mangiare. Dopo cena sedevamo intorno alla stufa a legna nei mesi invernali era sempre il centro della nostra vita, e ridevamo, e ascoltavamo questa o quella storia.
Gran parte del tempo trascorreva a programmare la festività dell'indomani, alla quale ci eravamo preparati per tutta la settimana. Essendo cattolici, saremmo andati a confessarci, dopo di che avremmo addobbato l'albero. La serata si sarebbe conclusa con una tazzina del favoloso zabaglione preparato dalla mamma. Poco importava che contenesse un po' di vino: Natale capitava solo una volta l'anno!
Sono sicuro che capiti a tutti i bambini, ma la vigilia di Natale stentavo sempre a prendere sonno. I miei pensieri erano in subbuglio. La mente non inseguiva lecca-lecca e dolciumi, ma era dominata da serie preoccupazioni, come il rischio che l'Angelo del Natale escludesse la mia casa o rimanesse senza doni. Un'idea elettrizzante era l'eventualità che Santa Claus dimenticasse che eravamo italiani e facesse egualmente una sosta, senza capacitarsi che l'Angelo ci aveva già fatto visita. Avrei ricevuto doppia dose di tutto.
Come si spiegasse il fatto che la mattina di Natale svegliarsi non è mai un problema, anche se di notte non si è dormito, o quasi? Così avvenne quel mattino. Dal momento in cui avvertimmo il primo movimento trascorsero pochi istanti e tutti fummo in piedi. Irrompemmo in cucina, avventandoci sulla fune del bucato dalla quale pendevano le nostre calze. Sotto, aspettavano le scarpe, perfettamente lucidate.
Tutto si presentava come la sera prima, con la sola differenza che calze e scarpe erano stipate del ben di Dio portato dall'Angelo del Natale. O meglio, lo erano tranne le mie. Le mie lucidissime scarpe erano vuote; e così pure le mie calze che pendevano flosce dal filo, fatta eccezione per un lungo ramo secco di pesco che fuoriusciva da una delle due.
Vidi un'espressione inorridita dipingersi sul volto di mio fratello e delle mie sorelle. Ci arrestammo di botto. Tutti gli occhi si spostarono sul papà e sulla mamma, poi si portarono di nuovo su di me. 
"Lo sapevo" disse la mamma. "Non sfugge mai nulla all'Angelo del Natale. L'Angelo del Natale lascia soltanto quello che ci meritiamo."
Dai miei occhi sgorgarono le lacrime. Le mie sorelle mi si fecero accosto, cercando di consolarmi. Io però le respinsi bruscamente.
"Non li volevo, io, quegli stupidi regali" strillai. "E lo detesto, quel vecchi Angelo imbecille. E poi l'Angelo del Natale non esiste affatto."
"Mi buttai nelle braccia della mamma. Era una donna corpulenta, e tante altre volte prima di allora il suo grembo mi aveva offerto rifugio contro la solitudine e la disperazione. Mi accorsi che piangeva, mentre mi confortava. E così pure mio padre. I singhiozzi sonori delle mie sorelle e il pianto sommesso di mio fratello che tirava su col naso colmavano il silenzio del primo mattino. 
Dopo un breve indugio mia madre parlò, come avesse parlato a se stessa. "Felice non è un bambino cattivo. Solo che di tanto in tanto si comporta male. E l'Angelo del Natale lo sa. Avrebbe potuto essere buono, ma quest'anno ha scelto di essere cattivo. L'Angelo non ha potuto farci niente. Forse deciderà di comportarsi meglio l'anno prossimo, ma comunque per il momento possiamo tornare a essere contenti."
Ciascuno si affrettò a vuotarmi in grembo i regali contenuti nelle scarpe e nelle calze. "Tieni, prendi questo" mi dicevano. Nel giro di pochi istanti la casa era di nuovo colma di chiacchiere, di risa, di sorrisi. Avevo ricevuto più regali di quanti le mie scarpe e le mie calze avrebbero potuto contenerne.
Papà e mamma, come sempre, erano andati a messa di buonora. Avevano raccolto le castagne e le avevano messe a bollire per ore in un'acqua deliziosamente aromatizzata. Un altro recipiente fra un sobbollire sommesso di salse. Profumi delicati fuoriuscivano dal forno come magiche pozioni, avviandosi a tramutarsi nel nostro miracoloso pranzo di Natale.
Ci preparavamo tutti per la messa. Secondo una prassi consueta, la mamma ci esaminava attentamente uno per uno; a chi aggiustava il colletto, a chi sospingeva i capelli all'indietro, ma a tutti elargiva una morbida carezza.
Alla fine fu anche il mio turno. Posò nei miei i suoi grandi occhi castani. "Felice," mi disse, "hai capito perché l'Angelo del Natale non poteva portarti i regali?
"Uh-huh" fu la mia risposta.
"L'Angelo vuole ricordarci che noi riceveremo sempre ciò che meritiamo. Non possiamo evitarlo. A volte è difficile capirlo, ci fa soffrire, ci fa piangere. Però ci insegna a distinguere il bene dal male, e di giorno in giorno miglioriamo."
Non sono certo di aver capito sino in fondo, allora, quello che lei intendeva dire. Ebbi però la certezza di essere amato; che qualunque cosa avessi fatto, mi sarebbe stato concesso il perdono e che avrei sempre avuto un'altra prospettiva.
Non ho mai dimenticato questo Natale di tanti anni fa. Da allora la vita non è sempre stata giusta con me, né sempre mi ha accordato ciò che credevo di meritarmi o mi ha ricompensato per la mia bontà. Col passare degli anni mi sono reso conto di essere stato egoista, viziato, negligente, e a volte, forse, persino crudele... Ma non ho mai dimenticato che, dove esistono il perdono, la generosità, il mutuo soccorso, l'indefettibile amore, l'offerta di una nuova speranza, l'Angelo del Natale è sempre presente accanto a noi. Ed è sempre Natale.


Leo Buscaglia
Sette storie Natalizie