Una parola
ci libera
da tutto il peso e il dolore della vita:
quella parola è
Amore.
Sofocle
Per condividere cose che a me sono parse belle. :-). Argomento Principe, l'Amore, in tutte le sue mille sfaccettature, forme e modi di manifestarsi. "BLOG DI SOLA LETTURA, CHE NULLA HA A CHE VEDERE CON OMONIMIE ALTROVE." Le fotografie - dove non diversamente indicato - sono mie.
Esiste una rabbia
Se l'ho uccisa.
Perché so che non lo hai fatto.
...
Non mi interessa cosa dici e come lo dici.
Io so chi sei.
E te lo prometto:
questa non sarà la tua vita.
The next three days
Io so chi sei
Amare significa aver fiducia nell'altro/altra, più di quanto lui/lei ne abbia o ne avrà, in determinate circostanze in se stesso/a.
Sapere chi è l'altro, l'altra, senza margine, possibilità di errore.
Iris
Una società che desidera
che il dolore non esista,
si comporterà esattamente
come se il dolore non esistesse.
Dottor Paolo Rossi
Mi incanto con piccole cose.
Con poche parole.
Con un gesto.
Con uno sguardo.
Mi incanto (non mi illudo).
Luana Donati
Non possiamo decidere quando, se ed il giorno, in cui venire al mondo.
Abbiamo, talvolta, così poca parte nello scegliere come viverla questa nostra vita.
Sarebbe democratico, bello, si potesse almeno decidere il giorno in cui andarsene.
Non mi riferisco alla data, intendo, proprio, il giorno.
Per me, sarebbe un giorno d'inverno, un giorno di pace.Un giorno di silenzio, di fuoco acceso e di vino rosso tra le mani...
E se il tempo è galantuomo con la sua giustizia, la vita, con le sue ferite, è gentil donna.
EvaKant63
Chi ironizza
non è poco serio o meno consapevole,
ha solo imparato a prendere in giro la vita
quando non può cambiarla.
Michele Licenza
Ho contato i miei anni ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere da qui in avanti di quanto non ne abbia già vissuto.
Mi sento come quel bambino che ha vinto una confezione di caramelle e le prime le ha mangiate velocemente, ma quando si è accorto che ne rimanevano poche ha iniziato ad assaporarle con calma.
Ormai non ho tempo per riunioni interminabili, dove si discute di statuti, norme, procedure e regole interne, sapendo che non si combinerà niente…
Ormai non ho tempo per sopportare persone assurde che nonostante la loro età anagrafica, non sono cresciute.
Ormai non ho tempo per trattare con la mediocrità. Non voglio esserci in riunioni dove sfilano persone gonfie di ego. Non tollero i manipolatori e gli opportunisti. Mi danno fastidio gli invidiosi, che cercano di screditare quelli più capaci, per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati.
Odio, se mi capita di assistere, i difetti che genera la lotta per un incarico maestoso. Le persone non discutono di contenuti, a malapena dei titoli. Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli. Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta… Senza troppe caramelle nella confezione…
Voglio vivere accanto a della gente umana, molto umana. Che sappia sorridere dei propri errori. Che non si gonfi di vittorie. Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo. Che non sfugga alle proprie responsabilità. Che difenda la dignità umana e che desideri soltanto essere dalla parte della verità e l’onestà.
L’essenziale è ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta. Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle persone… Gente alla quale i duri colpi della vita, hanno insegnato a crescere con sottili tocchi nell’anima. Sì… ho fretta… di vivere con intensità, che solo la maturità mi può dare.
Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella di quelle che mi rimangono… Sono sicuro che saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora. Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza. Spero che anche il tuo lo sia, perché in un modo o nell’altro ci arriverai…
Mário de Andrade
di prendere il sopravvento,
sappi anche farti piccolo...
"Per essere grandi
bisogna prima di tutto
saper essere piccoli.
L'umiltà è la base di ogni vera grandezza"
Papa Francesco
Sono ovunque, le belle cose.
E il più delle volte non costano altro
che la volontà di uno sguardo.
Valentina Turroni
Quando ero piccolo ho avuto una cotta per una bibliotecaria.
Una volta alla settimana teneva un'ora di storia nel giardino della biblioteca del quartiere. Ci leggeva fantastici racconti, pieni di avventure di fantasia, di bellezza.
A queste lezioni io non mancavo mai.
Anzi, spesso arrivavo con ore d'anticipo per assicurarmi un sedile in prima fila e non perdere così nemmeno una parola.
Ricordo perfettamente il Natale in cui lesse La storia dell'altro Re Mago di Henry Van Dyke. Non avevo più di otto o nove anni. Solitamente, nel corso di quell'ora leggeva parecchie storie, ma in quella circostanza ne lesse solo una.
Terminata la lettura, ci abbraccio augurandoci buon Natale.Mi prese per mano e mi condusse fuori facendomi attraversare la biblioteca. Poi mi s'inginocchiò accanto. "Ho un regalo di Natale per te" mi disse sorridendo. "Voglio darti il libro che ho appena letto." E mi porse la sua copia della Storia dell'altro Re Mago. "Ti è piaciuta la storia?" Domandò.
Per la verità non l'avevo capita, ma naturalmente non ero disposto a confessarglielo; cosicché le risposi: "sì, era molto interessante". In effetti, quel racconto mi aveva lasciato sconcertato. Non riuscivo a concepire che qualcuno potesse arrivare al punto di follia di rinunciare, per qualsivoglia ragione, a essere presente a Betlemme per la nascita di Gesù di Nazareth. E nemmeno ero in grado di comprendere come una persona potesse donare perle e rubini, destinati in regalo a Cristo per il suo compleanno, a perfidi soldati e a conniventi dediti al recupero dei crediti.
Ricordo che tornai a casa, stringendo in mano il libriccino, deciso a leggerlo una seconda volta. Un fatto era certo; se piaceva alla mia meravigliosa amica, non poteva non piacere anche a me.
Come molti sanno, la storia racconta il viaggio favoloso dei tre Re Magi. Narra di come giunsero da molto lontano, guidati da una cometa, per recare doni a un Re neonato che giaceva in una mangiatoia a Betlemme. Essa per altro aggiunge che esisteva un quarto Re Mago, che io non avevo mai udito nominare. E anch'egli vide una stella verso Oriente, anch'egli intraprese il suo lungo e faticoso viaggio per unirsi agli altri Re e portare i suoi doni preziosi.
Stando al racconto, i tre Re Magi non stentano a raggiungere Betlemme; ma il quarto, Artaban, incontra innumerevoli difficoltà. Innanzitutto s'imbatte nel deserto in un ebreo, esule e malato, prossimo alla morte. Vinto da compassione, si ferma e soccorre l'infermo. A causa di questo ritardo manca all'appuntamento con gli altri Re Magi; di conseguenza non riesca a raggiungere la stalla in occasione di quel primissimo Natale. Tuttavia prosegue nel suo viaggio. Di lì a poco si disfa di uno dei doni originariamente destinati al santo Bambino per salvare la vita ad un'altra piccola creatura che, per decreto di Erode, è destinata a morire. Di tanto in tanto fa sosta per curare gli ammalati,sfamare gli affamati, confortare i prigionieri e gli oppressi.
Alla fine della storia, Artaban è disperato,sfinito. Si rende conto che la sua ricerca è durata trentatré anni, e a conclusione della stessa si ritrova sul Golgota. Quivi scopre che il figliuolo di Dio, colui del quale era andato in cerca tanti, tanti anni prima, è stato condannato alla crocifissione. Subito gli viene fatto di pensare all'ultimo bene di cui sia ancora in possesso, ossia una perla. Ha la certezza che essa varrà a comprare la libertà del Cristo. Ma proprio mentre tenta di contrattare per la vita di Gesù s'imbatte in una donna minacciata di stupro e di morte. Deve pagare per i debiti del padre. Ed egli, una volta di più, offre la perla, sua ultima fortuna, per riscattare la vita di quella sventurata.
Ora davvero non gli rimane più nulla. Tutto ciò che in origine egli aveva inteso elargire in segno di adorazione lo ha posto al servizio dell'umanità. Ma come non bastassero tutte quelle prove, Artaban è colpito dal masso che si stacca da una rupe, nel momento in cui un terremoto scuote la terra in concomitanza con la crocifissione. Ed ora è certo che morrà senza aver veduto il suo Signore. Ma mentre giace, sanguinante, in agonia, ode una voce sommessa giungere da lontano: "In verità, ti dico, ciò che hai fatto per uno dei più umili tra i miei fratelli, tu lo hai fatto a Me". E nell'udire queste parole, Artaban, il quarto dei Re Magi, muore nella consolante consapevolezza che il Signore aveva ricevuto i suoi doni.
Alla fine capii. Se in un primo tempo avevo pensato che quel Re Mago si fosse dimostrato tutt'altro che saggio perdendo l'occasione di presenziare al primo Natale, facendo dono di tutti i suoi beni, trascorrendo l'intera sua vita a soccorrere il prossimo, ora all'improvviso tutto mi appariva perfettamente chiaro. Non c'era dubbio: di tutti i Re Magi, Artaban era il più saggio e il più degno.
Non ce la feci ad aspettare, e raccontai subito la storia al papà e alla mamma. Avevano recato con sé una vera tradizione, in fatto di racconti e episodi da narrare, e mi ascoltarono con attenzione. Quando ebbi finito, per un lungo momento si scambiarono un'occhiata in silenzio. "E' una bella storia Felice" disse la mamma finalmente. "Ed è anche vera. Quando dai ciò che possiedi per aiutare qualcuno è come se ne facessi dono a Dio."
"Cosa regalerai a questa brava signore della biblioteca?" domandò mio padre.
Perbacco, pensai, non ho proprio niente da darle.
"Ci penso io," interloquì la mamma, "le farò un bel piatto di ravioli."
"Dei ravioli!" esclamai. La mia carissima amica, che mi aveva fatto un dono così raffinato, si sarebbe fatta beffe dei ravioli della mamma. Avrei voluto regalarle rubini, incenso o per lo meno mirra (chissà cosa diamine era!).
Ma come sempre le mie proteste non ebbero gran peso, e ben presto fui costretto a incamminarmi verso la biblioteca reggendo un piatto di ravioli fatti in casa e un barattolo colmo di salsa rossa e succulenta, l'uno e l'altro accuratamente avvolti in un foglio di solida carta marrone. Durante il percorso passai in rassegna i vari modi in cui avrei potuto disfarmi del regalo, nascondendolo dietro le bancarelle al mercato degli alimentari o gettandolo semplicemente in un cestello da rifiuti. Ma la coscienza prevalse e mi spinse fino alla biblioteca. Qui trovai la mia innamorata che sedeva dietro la scrivania. Quando entrai mi rivolse un caloroso saluto. "Leo!" esclamò.
"Le ho portato un regalo" farfugliai, allungando le braccia e posando i due involti. "E' una cosa un po' stupida: roba da mangiare... dopo."
Lei afferrò di slancio uno dei pacchi, spiò dentro la carta e afferrò il piatto. I suoi occhi brillarono.
"Ravioli!" disse. "Mi piacciono i ravioli. Ti ringrazio. Non è affatto un dono stupido. Anzi, è un tesoro, più prezioso dei gioielli."
Più prezioso dei gioielli? pensavo.
Sì...
E' naturale...
E finalmente compresi fino in fondo La storia dell'altro Re Mago. I ravioli della mamma assunsero un significato tutto particolare.
Leo Buscaglia
Sette storie Natalizie
Vi auguro di trovare una persona
che sappia apprezzare
tutto l'amore che riuscite a dare
quando abbassate le difese.
Quando non ci credevate più,
o forse non l'avete mai fatto.
Quando non vi amavate
e vi buttavate via
in cose di poca grandezza.
Quando davanti a due occhi
abbassavate lo sguardo.
Quando vi nascondavate.
Vi auguro qualcuno che sia fiero
di mostrarvi al mondo
e di non tenervi all'oscuro di tutto.
Vi auguro tutto ciò,
e se l'avete già trovata,
ringraziate ogni giorno di averla incontrata.
Paola Delton
Dacché mi stancò il cercare
ho appreso il trovare:
dacché mi fu avverso il vento,
navigo con tutti i venti.
Friedrich Nietzsche
Come è grande il pensiero
che veramente nulla
a noi è dovuto.
Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa?
E allora perché attendiamo?
Cesare Pavese
Non lo credevo. Gli angeli avevano ben altro da fare che badare se fossi stato un bambino buono o cattivo. Il limitato buonsenso dei miei sette anni mi aveva suggerito che gli angeli potessero sorvegliare due o tre bambini per volta...e perché mai sarei dovuto essere proprio io uno di loro? Le probabilità erano indubbiamente a mio favore. Ma la mamma sapeva tutto, e mi aveva detto e ripetuto che l'Angelo del Natale sapeva, vedeva e giudicava ogni cosa, che non si poteva paragonarlo a nulla di ciò che noi, ignoranti creature umane, eravamo in grado di capire. Sta di fatto, comunque, che io nutrivo qualche dubbio sull'Angelo del Natale.
Tutti gli amici del vicinato mi dicevano che era Santa Claus a venire, la vigilia di Natale, e che non avevamo mai sentito nominare un angelo che portasse i doni. La mamma viveva ormai in America da molti anni, e benediva la nuova patria riconoscendo in essa la sua casa perpetua, ma rimase per sempre italiana come la polenta. E per lei sarebbe sempre stato un angelo.
"Ma chi è questo Santa Claus?" diceva. "E cosa c'entra col Natale?"
Devo poi riconoscere che il nostro angelo italiano non mi faceva molta impressione. Santa Claus era sempre più generoso e aveva più fantasia. Ai miei amici portava biciclette, giocattoli, di stagno, puzzles, caramelle e guanti da baseball.
Invece gli Angeli italiani recavano immancabilmente mele, arance, uva passa, frutta secca assortita, un piccolo panettone e certe pasticche alla liquirizia che chiamavamo "bottoni da prete" perché somigliavano ai bottoni dell'abito talare. Inoltre, l'Angelo infilava sempre nella calza certe castagne d'importazione, dure come sassi. Ci arrendevamo, alla fine, e le davamo alla mamma perché le lessasse, dopo che venivano sbucciate e servite come dessert alla cena di Natale. Non sembrava davvero il regalo più adatto a un bambino di sei o sette anni. Spesso ero indotto a pensare che l'Angelo del Natale non fosse un tipo molto sveglio.
Quando interpellai la mamma in argomento, lei si limitò a rispondere che non spettava a me, "ancora con il latte sulle labbra", mettere in discussione gli angeli, e soprattutto l'Angelo del Natale.
Al tempo di quel Natale, non si può dire che il mio contegno di bambino di sette anni fosse dei più esemplari. A quanto pareva, mio fratello e le mie sorelle, tutti maggiori di me, non creavano mai problemi. Pareva invece che io fossi sempre al centro dei medesimi. A tavola, non c'era cibo che fosse di mio gradimento. Mi s'imponeva di mangiare un po' di tutto e ogni pasto diventò una sfida... Felice, come venivo chiamato in famiglia, contro il mondo degli adulti, Ero io che dimenticavo di chiudere la stia dei polli, che preferivo leggere anziché portare in strada le immondizie, e che soprattutto contestavo le azioni, i sentimenti, le disposizioni di papà e mamma. In una parola, ero un ragazzaccio.
Fu così che, un mese prima di Natale, la mamma mi ammonì: "Sei proprio un discolo, Felice. Gli angeli del Natale non portano doni ai monelli, Portano loro un ramo tagliato da un albero di pesco, che va benissimo per prenderli a bacchettate sulle gambe. Quindi," mi mise in guardia, "sarà bene che tu metta giudizio. Non spetta a me essere buona con te. Tu devi scegliere di essere buono".
"E chi se ne infischia?" fu la mia risposta.
"Tanto l'Angelo non mi porta mai quello che vorrei."
Feci ben poco, nelle settimane successive, per "migliorare la mia condotta".
Come avviene in quasi tutte le famiglie, la vigilia di Natale era un momento magico. Sebbene fossimo poveri, c'era sempre qualcosa di speciale da mangiare. Dopo cena sedevamo intorno alla stufa a legna nei mesi invernali era sempre il centro della nostra vita, e ridevamo, e ascoltavamo questa o quella storia.
Gran parte del tempo trascorreva a programmare la festività dell'indomani, alla quale ci eravamo preparati per tutta la settimana. Essendo cattolici, saremmo andati a confessarci, dopo di che avremmo addobbato l'albero. La serata si sarebbe conclusa con una tazzina del favoloso zabaglione preparato dalla mamma. Poco importava che contenesse un po' di vino: Natale capitava solo una volta l'anno!
Sono sicuro che capiti a tutti i bambini, ma la vigilia di Natale stentavo sempre a prendere sonno. I miei pensieri erano in subbuglio. La mente non inseguiva lecca-lecca e dolciumi, ma era dominata da serie preoccupazioni, come il rischio che l'Angelo del Natale escludesse la mia casa o rimanesse senza doni. Un'idea elettrizzante era l'eventualità che Santa Claus dimenticasse che eravamo italiani e facesse egualmente una sosta, senza capacitarsi che l'Angelo ci aveva già fatto visita. Avrei ricevuto doppia dose di tutto.
Come si spiegasse il fatto che la mattina di Natale svegliarsi non è mai un problema, anche se di notte non si è dormito, o quasi? Così avvenne quel mattino. Dal momento in cui avvertimmo il primo movimento trascorsero pochi istanti e tutti fummo in piedi. Irrompemmo in cucina, avventandoci sulla fune del bucato dalla quale pendevano le nostre calze. Sotto, aspettavano le scarpe, perfettamente lucidate.
Tutto si presentava come la sera prima, con la sola differenza che calze e scarpe erano stipate del ben di Dio portato dall'Angelo del Natale. O meglio, lo erano tranne le mie. Le mie lucidissime scarpe erano vuote; e così pure le mie calze che pendevano flosce dal filo, fatta eccezione per un lungo ramo secco di pesco che fuoriusciva da una delle due.
Vidi un'espressione inorridita dipingersi sul volto di mio fratello e delle mie sorelle. Ci arrestammo di botto. Tutti gli occhi si spostarono sul papà e sulla mamma, poi si portarono di nuovo su di me.
"Lo sapevo" disse la mamma. "Non sfugge mai nulla all'Angelo del Natale. L'Angelo del Natale lascia soltanto quello che ci meritiamo."
Dai miei occhi sgorgarono le lacrime. Le mie sorelle mi si fecero accosto, cercando di consolarmi. Io però le respinsi bruscamente.
"Non li volevo, io, quegli stupidi regali" strillai. "E lo detesto, quel vecchi Angelo imbecille. E poi l'Angelo del Natale non esiste affatto."
"Mi buttai nelle braccia della mamma. Era una donna corpulenta, e tante altre volte prima di allora il suo grembo mi aveva offerto rifugio contro la solitudine e la disperazione. Mi accorsi che piangeva, mentre mi confortava. E così pure mio padre. I singhiozzi sonori delle mie sorelle e il pianto sommesso di mio fratello che tirava su col naso colmavano il silenzio del primo mattino.
Dopo un breve indugio mia madre parlò, come avesse parlato a se stessa. "Felice non è un bambino cattivo. Solo che di tanto in tanto si comporta male. E l'Angelo del Natale lo sa. Avrebbe potuto essere buono, ma quest'anno ha scelto di essere cattivo. L'Angelo non ha potuto farci niente. Forse deciderà di comportarsi meglio l'anno prossimo, ma comunque per il momento possiamo tornare a essere contenti."
Ciascuno si affrettò a vuotarmi in grembo i regali contenuti nelle scarpe e nelle calze. "Tieni, prendi questo" mi dicevano. Nel giro di pochi istanti la casa era di nuovo colma di chiacchiere, di risa, di sorrisi. Avevo ricevuto più regali di quanti le mie scarpe e le mie calze avrebbero potuto contenerne.
Papà e mamma, come sempre, erano andati a messa di buonora. Avevano raccolto le castagne e le avevano messe a bollire per ore in un'acqua deliziosamente aromatizzata. Un altro recipiente fra un sobbollire sommesso di salse. Profumi delicati fuoriuscivano dal forno come magiche pozioni, avviandosi a tramutarsi nel nostro miracoloso pranzo di Natale.
Ci preparavamo tutti per la messa. Secondo una prassi consueta, la mamma ci esaminava attentamente uno per uno; a chi aggiustava il colletto, a chi sospingeva i capelli all'indietro, ma a tutti elargiva una morbida carezza.
Alla fine fu anche il mio turno. Posò nei miei i suoi grandi occhi castani. "Felice," mi disse, "hai capito perché l'Angelo del Natale non poteva portarti i regali?
"Uh-huh" fu la mia risposta.
"L'Angelo vuole ricordarci che noi riceveremo sempre ciò che meritiamo. Non possiamo evitarlo. A volte è difficile capirlo, ci fa soffrire, ci fa piangere. Però ci insegna a distinguere il bene dal male, e di giorno in giorno miglioriamo."
Non sono certo di aver capito sino in fondo, allora, quello che lei intendeva dire. Ebbi però la certezza di essere amato; che qualunque cosa avessi fatto, mi sarebbe stato concesso il perdono e che avrei sempre avuto un'altra prospettiva.
Non ho mai dimenticato questo Natale di tanti anni fa. Da allora la vita non è sempre stata giusta con me, né sempre mi ha accordato ciò che credevo di meritarmi o mi ha ricompensato per la mia bontà. Col passare degli anni mi sono reso conto di essere stato egoista, viziato, negligente, e a volte, forse, persino crudele... Ma non ho mai dimenticato che, dove esistono il perdono, la generosità, il mutuo soccorso, l'indefettibile amore, l'offerta di una nuova speranza, l'Angelo del Natale è sempre presente accanto a noi. Ed è sempre Natale.