Anche se avevo lasciato lo slum, sicuro che non avrei mai più potuto viverci, mi dava sempre un brivido di piacere ritornare in quei luoghi e rivedere la mia piccola baracca.
I pochi stranieri che avevo portato allo slum - e persino gli indiani che erano venuti a trovarmi, come Kavita Singh e Vikram - inorridivano vedendo quel posto, ed erano sconvolti all'idea che avessi potuto viverci per tanto tempo. Non riuscivano a capire che quando vivevo nello slum sentivo la necessità di dimenticare me stesso, d'immergermi in uno stile di vita semplice e povero che però era ricco di altre qualità: rispetto, amore, comunione con il mare sterminato di cuori umani che viveva attorno a me.
I miei amici non potevano capire cosa intendevo quando parlavo loro della "purezza" dello slum, perchè guardandosi intorno vedevano solo miseria e sporcizia, non vedevano la purezza.Ma non avevano vissuto in quel luogo miracoloso, e non avevano imparato che per sopravvivere in quel miscuglio caotico di speranza e sofferenza la gente doveva essere onesta in modo scrupoloso, quasi struggente.
Era quella la fonte della loro purezza: nello slum era indispensabile essere rigorosamente "onesti e sinceri".
pag. 1117 e 1118 di SHANTARAM di Gregory David ROBERTS
giovedì 22 gennaio 2009
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