Mi lanciai fra i rivoli che scorrevano impetuosi sul marciapiede e riflettevano il cielo squarciato dai lampi. La solitudine e l'amore di una vita si stavano ammassando nel mio petto, e il cuore era gonfio d'amore per Karla come una nuvola gravida di pioggia. Correvo, correvo.
Alla fine mi ritrovai in quella strada, davanti alla sua porta. Mi fermai come ghermito dai fulmini il petto che si sollevava ritmicamente per la passione che continuava la sua corsa, anche se il mio corpo era immobile. Karla uscì di casa e si fermò sulla soglia a guardare il cielo.
Indossava una camicia da notte bianca e sottile, senza maniche. Mi vide immobile nella tempesta. Ci fissammo in silenzio. Karla scese i gradini e camminò verso di me. Il tuono scuoteva la strada, i lampi si riflettevano nei suoi occhi. Si getto fra le mie braccia.
Ci baciammo, le nostre labbra esprimevano pensieri senza parole, i pensieri delle emozioni. Le nostre lingue vibravano e si contorcevano nelle loro caverne di piacere, proclamando ciò che eravamo. Esseri umani. Amanti. La inondai con il mio amore, perdendomi a mia volta in quell'oceano sconfinato.
La sollevai fra le braccia e la portai in casa, nella stanza che aveva il suo profumo. Spargemmo i vestiti sul pavimento, e lei mi guidò verso il letto.
Rimanemmo vicini, senza sfiorarci.
Nell'oscurità illuminata della tempesta le gocce di pioggia e sudore sulle sue braccia erano come una miriade di stelle scintillanti, la pelle un lembo di cielo.
Accarezzai il cielo con le labbra, leccai le stelle nella mia bocca. Accolse il mio corpo nel suo, e ogni attimo fu un incantesimo senza fine. I nostri respiri erano come una preghiera che evoca tutte le preghiere del mondo.
Il sudore scorreva in piccoli ruscelli verso abissi di piacere. Ogni carezza lambiva cascate di pelle liscia come seta. Avvolte nei manti di velluto della tenerezza le nostre schiene si contorcevano convulsamente in spasmi di calore, calore pulsante, che spingeva i muscoli a completare ciò che la mente inizia e il corpo porta sempre a compimento.
Io ero suo. Lei era mia. Il mio corpo era il suo carro celeste, e lei lo guidò al centro del sole. Il suo corpo era un fiume, ed io divenni il mare.
Le nostre labbra si congiunsero in un lungo gemito, l'urlo di speranza e dolore che l'estasi strappa agli amanti nell'attimo in cui inonda le loro anime di beatitudine.
Restammo in un silenzio perfetto, rotto solo dal quieto sussurro dei respiri. Un silenzio privo di bisogni, desideri, avidità e dolore.
Privo di tutto, se non della pura, ineffabile intensità dell'amore.
pag. 498-500 di SHANTARAM di Gregory David ROBERTS
venerdì 2 gennaio 2009
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